Cattive Acque, il nuovo film di Todd Haynes con Mark Ruffalo, sarà nelle sale cinematografiche italiane dal prossimo 20 febbraio. Ecco la nostra recensione.
Todd Haynes ci ha abituato nel corso degli anni a film formalmente impeccabili, traboccanti di idee visive e narrative. Film in cui la mano del suo autore era sempre visibile, in cui la messa in scena veniva prima di ciò che si raccontava. È quindi certamente strano vedere il suo nome collegato ad un titolo come Cattive Acque, che invece si inserisce nella lunga tradizione del cinema morale americano, quello che racconta delle storie che ritiene necessario far conoscere e che preferisce veicolare un messaggio chiaro piuttosto che suggerire e suggestionare lo spettatore.
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Cattive Acque, il nuovo film di Todd Haynes
Dietro a Cattive Acque c’è lo stesso team produttivo de Il Caso Spotlight. Non a caso i due film sono uniti dal medesimo obiettivo: l’impegno civile militante. Il protagonista del film è Rob Bilott, avvocato di Cincinnati che da difensore d’ufficio delle grandi industrie si ritrova ad essere loro principale accusatore in una torbida faccenda di inquinamento ambientale, sistematicamente nascosta agli occhi dell’opinione pubblica e a quelli delle autorità che dovrebbero vigilare. La mano di Haynes è evidente nel mondo in cui le inquadrature “schiacciano” Mark Ruffalo, emarginandolo rispetto al contesto, rendendolo progressivamente più ricurvo su se stesso, miniaturizzandolo nelle scene in cui si ritrova al cospetto di persone più alte (quindi importanti) di lui.
Mark Ruffalo, eroe eastwoodiano
Come Steven Spielberg in The Post (un altro esempio perfetto di questo modo di fare cinema civile) anche Todd Haynes lavora internamente alle scene sui rapporti di scala, attraverso i quali si rendono chiari ed evidenti quelli di forza. E proprio come nel recente Richard Jewell di Clint Eastwood, l’ordinarietà del personaggio principale (lo scopo è sempre lo stesso: spogliare l’eroe del proprio eroismo, riprenderne la quotidianità e non imporlo allo spettatore necessariamente come un modello a cui aspirare) è evidenziata dall’ingombrante presenza scenica di chi gli ruota attorno, in questo caso il capo Tim Robbins e la moglie Anne Hathaway, bravissimi a rendere su schermo la tensione costante tra la volontà di sostenere Billott e la necessità di mettergli pressione.
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Come in un film horror
Come sempre lo sguardo di Haynes attraversa il film fino ad abitarlo completamente. Se sul suo Safe incombeva l’epidemia silenziosa dell’Aids, qui è il veleno di scarico che si riversa nell’esistenza di Billott e nella casa in cui vive con la propria famiglia (la cui statica tradizionalità, come sempre nel cinema di Haynes, sarà messa in discussione). Il film infatti progressivamente scalfisce il mito della famiglia americana: una vera e propria istituzione che, come la ricchissima azienda dei Dupont, sembra essere destinata ad esistere nonostante tutto. Cattive Acque comincia con un incipit ambientato negli anni ’70 che sembra quello di un film horror, seguendo un gruppo di ragazzi che vuole farsi un bagno nel cuore della notte in un lago apparentemente desolato e che invece rivela il proprio inquietante segreto attraverso il suo riflesso (come negli slasher alla Venerdì 13, in cui vediamo specchiato il volto dell’assassino). La fotografia di Edward Lachman è proprio quella tipica del cinema di genere, crea le ombre e i contrasti da vincere per arrivare (forse) a vedere la luce.