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Cronaca

Il paradosso Coronavirus e Sars. La prima fa più morti, l’altra era più letale

Due epidemie mortali a confronto: il Coronavirus ha superato il numero delle vittime della Sars, ma il contagio del 2002/2003 era più pericoloso e letale. Le dimensioni dei contagi.

Il numero delle vittime da Coronavirus (908) ha superato quello dei morti a causa della Sars, l’epidemia polmonare che ha causato 774 morti nel 2002-2003. Ci sono analogie tra le due malattie letali e il Corriere della Sera prova ad analizzarne dati e paradossi. Entrambe le epidemie sono dovute a coronavirus, chiamati così per la caratteristica forma a coroncina. Probabilmente hanno avuto come primo incubatore un mercato o comunque circostanze in cui uomo e animali si sono trovati ad avere contatti molto stretti. Il primo contagiato della Sars di cui si abbia avuta notizia è un commerciante di pesce che riforniva i ristoranti di Foshan, città industriale di 3 milioni di abitanti, regione di Guangdong.

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Il primo focolaio della nuova epidemia è stato individuato, invece, in un mercato di pesce e animali vivi nella città di Wuhan, 11 milioni di abitanti. Il serbatoio virale nella Sars è stato lo zibetto. In questo caso l’origine è incerta. In ambedue le situazioni è stata tirata in ballo l’ipotesi,  al momento del tutto infondata, che il virus fosse uscito da un laboratorio.

Le due epidemie a confronto

La Cina coprì a lungo l’esistenza della Sars. Già a metà novembre del 2002 un missionario segnalò all’agenzia per il controllo delle malattie infettive di Atlanta strane morti di ‘peste polmonare’. L’Organizzazione Mondiale della Sanità e il Cdc avviarono un’indagine ma il governo cinese assicurò che il problema era stato risolto e la causa di quelle infezioni era un batterio, la Chlamydia. Solo a febbraio 2003 l’Oms ricevette un rapporto dal ministro della sanità in cui si parlava di sindrome respiratoria severa acuta. Pechino imparò la lezione, il ritardo dell’ammissione gli costò caro. Stavolta infatti la prima allerta è del 31 dicembre 2019: i cinesi dichiarano l’esistenza di una malattia polmonare sconosciuta. Il coronavirus viene sequenziato, i dati vengono messi a disposizione della comunità internazionale.

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Il medico italiano Carlo Urbani, che lavorava nell’ufficio dell’Oms ad Hanoi fu tra le prime vittime della Sars, fu contagiato mentre visitava un malato francese ricoverato in ospedale quando ancora non si sapeva con quale infezione si avesse a che fare. Capì subito la gravità della situazione e la segnalò. Morì il 29 marzo del 2003, a 49 anni. E diede il nome a centinaia di centri di congressi e conferenze, ricevendo in memoria la medaglia d’oro del presidente Carlo Azeglio Ciampi consegnata alla moglie Giuliana. Anche l’epidemia da 2019-nCoV ha il suo ‘martire’: si tratta di Li Wenliang, 34 anni che alla fine di dicembre aveva dato l’allerta. Come aveva raccontato in un’intervista alla Cnn, Li è stato convocato dalla polizia di Wuhan il 3 gennaio e accusato di aver turbato l’ordine sociale. Contagiato dal virus, è morto il 3 febbraio.

Li Wenliang

La nuova epidemia e la ‘vecchia’ Sars, numeri a confronto

Più diffusa ma meno letale. Sono queste le due caratteristiche che distinguono l’attuale epidemia dall’altra. Il 2019-nCoV ha superato per numero di individui infettati la Sars con circa 40mila casi confermati e 908 morti. Però la letalità è molto inferiore, il 2% contro il 9,5%. Questo coronavirus si sta mostrando capace di colpire un numero maggiore di persone ma con sintomi molto spesso lievi, qualche linea di febbre, un accenno di congiuntivite. Grazie alla minore aggressività riesce dunque a diventare più presente nella popolazione mentre la Sars colpiva in modo più severo. Sparì a metà del 2003.

 

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