Ad aver presentato reclamo ai supremi giudici sono stati il sostituto procuratore della Corte di Appello di Roma, Vincenzo Savariano e i genitori di Marco Vannini, Marina Conte e Valerio Vannini, contrari alla riduzione di pena arrivata in appello, il 29 gennaio 2019, in favore di Antonio Ciontoli.
“Testa alta e non si molla”. E’ visibilmente soddisfatta la madre di Marco Vannini .La Corte di Cassazione ha accolto la richiesta del procuratore generale Elisabetta Cennicola di annullare la sentenza di secondo grado con cui, derubricato il reato di omicidio volontario in colposo, Ciontoli si era visto ridurre la pena da 14 a 5 anni di reclusione, mentre per gli altri imputati sono state confermate le condanne a 3 anni. Per Cennicola quello di Marco Vannini fu un omicidio volontario e non un incidente. E’ stata colta anche da un piccolo malore, Marina, ma si è ripresa subito. Nessuno le riporterà in vita il suo Marco, ma una prima battaglia per la giustizia l’ha vinta lei. Un lungo applauso ha accolto la decisione della Cassazione di riaprire il processo d’appello per l’omicidio di Marco Vannini, il giovane di 20 anni ucciso a Ladispoli, sul litorale romano, mentre era a casa della sua fidanzata Martina, la notte tra il 17 e il 18 maggio 2015, dopo essere stato colpito da uno sparo di pistola dal padre della ragazza, Antonio Ciontoli, sottufficiale della Marina militare distaccato ai servizi segreti, e lasciato agonizzante tra atroci sofferenze per 110 lunghissimi minuti prima che venissero chiamati i soccorsi.
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“Avevo perso la fiducia, ma questa sera posso dire che la giustizia esiste e vado a testa alta, non si molla, e Marco avrà giustizia. La verità non la sapremo mai ma ringrazio tutte le persone che ci sono state vicine”, ha detto la mamma di Marco, Marina Conte, dopo la lettura della sentenza, mentre usciva dalla Cassazione circondata da telecamere, parenti e amici, il marito Valerio accanto. Insieme a ‘madre coraggio’ molti dei concittadini di Ladispoli, sempre vicini a questa famiglia distrutta dal dolore: erano raccolti sul piazzale pedonale antistante la Cassazione, dietro allo striscione con la foto di Marco, bello e sorridente, e la scritta “Non in mio nome. Giustizia per Marco”.
Per tutto il giorno hanno combattuto anche loro mentre era in corso l’udienza, con sit in e flash mob.
Nella sua requisitoria, il Sostituto procuratore della Cassazione, Elisabetta Ceniccola aveva definito la vicenda, le cui circostanze non sono tutte chiare, “gravissima e disumana”. “Marco Vannini non è morto per un colpo di arma da fuoco, ma è morto per un ritardo di 110 minuti nei soccorsi” che a lungo non sono stati chiamati dai Ciontoli, i quali hanno “anche rimandato indietro una prima ambulanza”, ha detto il Pg. “Per ben
110 minuti hanno mantenuto una condotta reticente e omissiva parlando al telefono con gli operatori del soccorso senza dire nulla dello sparo”, ha proseguito Ceniccola, rimarcando che fino alla fine Antonio Ciontoli ha cercato di tenere nascosto che Marco era stato colpito da una pallottola, rimasta conficcata nei muscoli del petto, cercando anche di “corrompere” il medico del pronto soccorso, dottor Matera, affinchè “non parlasse nel referto del colpo di pistola”. “Tutta la famiglia Ciontoli era in condizioni di capire che cosa stava provocando quel proiettile nel corpo di Marco”, ha insistito il Pg. “Ciontoli ha seguito passo per passo l’agonia di Marco Vannini, pensando solo a salvare il suo posto di lavoro. La morte del ragazzo avrebbe portato via l’unico testimone di quello che è successo nell’abitazione di Ladispoli”.
Il difensore dei Vannini, l’avvocato Coppi, nella sua arringa, ha messo in evidenza i ritardi nei soccorsi chiedendo la riapertura del processo e condanne più severe. “E’ stato colpito da un’arma micidiale, lo sparo gli ha trapassato cuore, polmone, e una costola, e si è fermato sotto i muscoli del torace. Il cuore di Marco ha continuato a pompare sangue fino alla fine, tanto che l’autopsia ha rilevato una emorragia interna di sei litri di sangue: si sarebbe salvato se lo avessero soccorso, come ha riconosciuto con onestà lo stesso consulente della difesa”. “Marco lanciava urla disumane per il dolore, hanno detto i vicini e una infermiera, sveniva e riapriva gli occhi: impossibile – ha concluso l’avvocato – che i Ciontoli non si fossero accorti della gravità delle sue condizioni!”.
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Ora per tutti e quattro gli imputati torna lo spettro dell’accusa di omicidio volontario. Il pg della Corte di Assise di Appello di Roma, Vincenzo Savariano aveva condannato Antonio Ciontoli a soli cinque anni di reclusione rispetto ai 14 ricevuti in primo grado. L’accusa di omicidio volontario, suscitando molte polemiche, era stata infatti riqualificata in quella ben più leggera di omicidio colposo dal verdetto emesso il 29 gennaio 2019 in secondo grado. Per gli altri familiari di Ciontoli – la moglie Maria Pezzillo e i figli Martina e Federico – la condanna è sempre stata di 3 anni di reclusione per lo stesso reato.
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