Il regista francese Christophe Honoré porta al cinema L’hotel degli amori smarriti, una commedia fresca e liberatoria che ragiona sull’amore, sulle stagioni della vita, e sulla complessità di portare avanti i rapporti restando sempre fedeli a sé stessi.
Maria (una bravissima Chiara Mastroianni) insegna legge all’università, è donna bella e sensuale, non più giovanissima ma ancora in grado di esercitare grande fascino nei confronti del mondo maschile. Da venticinque anni è sposata con Richard (Benjamin Biolay nella versione matura, Vincent Lacoste in quella giovanile) – l’uomo che per lei ha lasciato il suo grande amore adolescenziale – e che però, di tanto in tanto, lei tradisce.
Una sera, Richard, scopre l’ultimo tradimento della moglie e lei, disorientata di fronte all’inaspettato dolore e alla delusione del marito, si trasferisce nell’hotel di fronte casa per osservare il compagno dal vetro della finestra di quella Chambre 212 e riflettere sulla sua vita: passata, presente, e futura.
Il cinema francese continua a indagare abilmente il mondo complesso e sfaccettato dei sentimenti che si muovono e mutano attraverso il passare del tempo e il mutare delle percezioni, si rivoluzionano con l’avvento del senso di smarrimento e la perdita di ciò che un tempo è stato. Come nel sofisticato e romantico La belle époque (transitato a Cannes 2019, nella sezione fuori concorso), anche qui con L’hotel degli amori smarriti, Christophe Honoré costruisce l’impalcatura simile di un Amore smarrito, tradito, perso, e poi (forse) ricostruito nel confronto tra presente e passato, tra memoria e realtà.
L’elegante fisicità di Chiara Mastroianni sfida il tempo apparentemente noncurante del suo passaggio e, attraversata la strada che conduce proprio all’hotel di fronte casa, mette in opera un confronto serrato con sé stessa, i suoi fantasmi (la madre, la nonna), i fantasmi dei suoi numerosi amanti, e una sorta di coscienza esteriore che proverà a indicarle azioni e omissioni, pentimenti e infedeltà.
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In una società disinibita ma comunque da sempre ancorata a un romanticismo esemplare, ovvero quella francese, L’hotel degli amori smarriti ragiona dunque con fare onirico e attraverso l’escamotage della proiezione mentale che abbatte le barriere temporali, su quello “smettere di conoscersi”, ce poi diventa smettere di cercarsi e amarsi, ovvero il lento processo di perdita di contatto cui quasi tutte le coppie vanno incontro con il passare del tempo.
Muovendosi nel buio e in quella neve soffice illuminata dal rosso del neon dell’hotel che separa i due amanti nei pochi metri di una strada, Honoré delinea e illumina attorno al corpo sinuoso e nel profilo forte e determinato di Chiara Mastroianni (premiata a Cannes 2019 come miglior attrice per questo ruolo) l’elegia di una donna consapevole della propria femminilità, della propria audacia, e determinata a salvaguardare entrambe.
E in tempi in cui il ruolo della donna vive una forte zona di criticità, sempre sballottato tra giudizio impietoso del troppo o troppo poco applicato inesorabilmente a ogni ambito, L’hotel degli amori smarriti rilancia il valore di una femminilità fiera e padrona di sé stessa, sempre e comunque capace di prendersi lo spazio e il tempo giusto per ponderare ogni decisione con sincera maturità. Nella consapevolezza di smarrirsi con coscienza, per poi, nel caso, sapersi ritrovare.
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