Si torna a lottare al fianco di Julian Assange, o per lo meno: molti sono i cronisti di fama scesi in campo al fianco del fondatore di WikiLeaks
“Speak up for Assange” è la petizione promossa da giornalisti e associazioni giornalistiche che finora ha raccolto oltre 1100 firma provenienti da 96 Paesi. Esorta governi e stampa “a chiedere la fine della campagna scatenata” contro il fondatore di Wikileaks
Il governo del Regno Unito, in stretta collaborazione con quelli di USA, Ecuador, Svezia e Australia, continua a tenere arbitrariamente in stato di detenzione e a trattare con metodi di tortura il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, nonostante gli appelli alla sua liberazione provenienti non solo dall’opinione pubblica, ma anche e sempre più da autorevoli istituzioni internazionali.
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Dopo anni di silenzio nei circoli ufficiali del potere, qualcosa sembra finalmente muoversi a favore del giornalista/attivista australiano, la cui sorte, strettamente legata alla sopravvivenza del diritto a una libera informazione, continua tuttavia a essere minacciata da una possibile estradizione negli Stati Uniti.
Un appello per chiedere la liberazione di Julian Assange, perché l’azione legale promossa nei suoi confronti “rappresenta un precedente estremamente pericoloso per i giornalisti, per i mezzi di informazione e per la libertà di stampa”. Ha raccolto oltre 1100 firme proveniente da 96 Paesi diversi l’appello Speak up for Assange, promosso da giornalisti e associazioni giornalistiche: oltre al direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio, hanno aderito Edward Snowden, whistleblower del caso Nsa, Giannina Segnini, direttore della Columbia Journalism School, l’ex europarlamentare Barbara Spinelli e il linguista e saggista Noam Chomsky.
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“Julian Assange, fondatore ed editore di WikiLeaks, è attualmente detenuto nel carcere di alta sicurezza di Belmarsh, nel Regno Unito, in attesa di essere estradato e poi processato negli Stati Uniti in base all’Espionage Act – si legge nel testo dell’appello che era stato pubblicato anche sul Fatto -. Assange rischia una condanna a 175 anni di prigione per avere contribuito a rendere pubblici documenti militari statunitensi relativi alle guerre in Afghanistan e Iraq e una raccolta di cablogrammi del Dipartimento di Stato Usa. I War Diaries hanno provato che il governo statunitense ha ingannato l’opinione pubblica sulle proprie attività in Afghanistan e Iraq e lì vi ha commesso crimini di guerra. WikiLeaks ha collaborato con un grande numero di media in tutto il mondo, media che hanno pubblicato a loro volta i War Diaries e i cablogrammi del Dipartimento di Stato Usa“.
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