Eli è un film horror americano del 2019, diretto da Ciarán Foy. Altalenante e ambiguo, che mai si presta ad una sola chiave di lettura dei propri eventi, il film è disponibile su Netflix.
L’ambizione di Ciarán Foy e degli sceneggiatori (David Chirchirillo, Ian Goldberg e Richard Naing) è molto alta: rinnovare un sottogenere cinematografico ormai stagnante (quello degli horror con strutturare infestate) portandolo su territori diversi. Il risultato, purtroppo, però, non è all’altezza delle aspettative.
Eli, il giovane ragazzo che dà il titolo al film, è afflitto da uno strano disturbo che gli causa problematiche e dolorose reazioni allergiche. Per trovare una soluzione a questo problema, per cui è costretto a vivere all’interno di una “capsula” protettiva ed isolante, i suoi genitori, Rose e Paul, decidono di chiedere aiuto alla Dott.ssa Isabella Horn, dirigente di una struttura ospedaliera che potrebbe risolvere il disturbo del piccolo e liberare così i suoi genitori dalla sofferenza e dalla frustrazione. In questa struttura, infatti, Eli può vivere senza l’ausilio del guscio: i suoi genitori possono quindi riabbracciarlo dopo tanti anni e lui finalmente ritornare pian piano ad una vita normale. Dopo i primi risultati incoraggianti, però, il ragazzo ricomincia improvvisamente a peggiorare e a sviluppare preoccupanti allucinazioni. I fantasmi del luogo cominciano a perseguitarlo, mettendo in discussione l’efficacia della terapia.
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Dietro la macchina da presa troviamo Ciarán Foy, regista al suo secondo lungometraggio dopo l’esordio abbastanza deludente con il sequel di Sinister. Il film nasce grazie ad una delle tante sceneggiature contenute nella Black List del 2015 (ovvero quelle sceneggiature mai sviluppate). Partendo da lì, con un budget tutto sommato notevole per gli standard tipici di questo tipo di produzioni, ovvero 11 milioni di dollari, il progetto ha preso il via dalla scelta di una location suggestiva, vero fulcro dell’intera narrazione. Nel cast fanno la loro comparsa vecchie conoscenze come Lili Taylor (The Conjuring) e Max Martini (Salvate il soldato Ryan) e nuove leve come Sadie Sink (nota per aver interpretato il personaggio di Maxime nella serie Netflix Stranger Things).
È impossibile guardare Eli senza avere una sensazione di déjà-vu: il film di Ciarán Foy attinge a piene mani da classici come The Others, ma adotta fin dai minuti iniziali un ritmo stranamente lento e dilatato, che sceglie di soffermarsi sulle tensioni interne alla famiglia e causate dalla patologia di cui è affetto il ragazzo. Le cose non vanno meglio quando la narrazione si sposta all’interno della clinica. È chiaro fin da subito, infatti, che le buone intenzioni dello staff medico della struttura sono in realtà finte e che Eli finirà presto nelle mani di chi ha altri scopi rispetto alla sua guarigione.
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Tutte le ambizioni del film, che cerca maldestramente di costruire nel corso della sua durata la tensione protesa verso il finale, crollano poi con un twist che vorrebbe ricordare quelli sorprendenti di Shyamalan, ma in realtà lascia lo spettatore con un dubbio che sembra più causa di mancanze di sceneggiatura che di reale volontà artistico-narrativa. Diverse domande rimangono infatti inevase, ma la sensazione è quella di non essere riusciti a dare loro una risposta convincente.
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