Manette per i sicari del clan Strisciuglio: avevano freddato Antonio e Luigi Luisi

Un regolamento di conti, tra 2015 e 2016, che era andato ben oltre le aspettative. Due clan si erano scontrati, Strisciuglio e Mercante. A farne le spese però la prima volta fu Antonio Luisi, che nulla aveva a che fare con la criminalità organizzata.

Antonio Luisi si frappose tra i proiettili e suo padre Luigi, cercando di salvargli la vita. Ci riuscì, ma non per lungo tempo. I sicari, dopo pochi mesi, tornarono per finire il lavoro cominciato nell’aprile del 2015. Oggi sono finiti in manette i tre sicari di Luigi Luisi.

Gli arresti

Sono arrivate le manette ed una condanna a 20 anni di reclusione per i pregiudicati Vito Valentino e Alessandro Ruta, ritenuti i mandanti del primo agguato in cui morì il Antonio Luisi. Condannati anche Domenico Remini, pianificatore di entrambi i delitti, Christian Cucumazzo e Antonio Monno, esecutori materiali dell’omicidio di Antonio Luisi e del tentato omicidio del padre Luigi.

 

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Nel provvedimento anche Maurizio Sardella, che avrebbe aiutato i sicari dell’agguato al padre, monitorando i movimenti della vittima. Il gup ha condannato a 18 anni di reclusione Donato Sardella, figlio di Maurizio, e a 16 anni Gaetano Remini, fratello di Domenico, che hanno confessato di essere gli esecutori materiali dell’assassinio di Luigi Luisi.

 

I fatti

Stando alle indagini della squadra mobile, coordinate dai pm della Dda Giuseppe Gatti e Patrizia Rautiis, il movente dei delitti sarebbe riconducibile a dissidi tra i clan Strisciuglio e Mercante per il controllo dello spaccio di droga nel quartiere Libertà.

Il 30 aprile 2015 fu ucciso in un agguato il figlio Antonio e ferito il padre, vero obiettivo dei killer. Il figlio, estraneo ai contesti criminali, fu ucciso per errore perché si frappose tra i sicari e il padre per salvarlo. Il 31 ottobre 2016 il clan portò a termine l’obiettivo, tornando a colpire Luigi Luisi, che morì in ospedale il 14 novembre dopo due settimane in coma.

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La sentenza è stata emessa al termine di un processo celebrato con il rito abbreviato nell’aula bunker di Bitonto. Nei confronti di tutti gli imputati il giudice ha riconosciuto le contestate aggravanti del metodo mafioso, di aver agevolato un’associazione mafiosa e della premeditazione.

 

 

 

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