Coronavirus: in Italia ormai è psicosi, oltre ogni ragionevolezza

Dai casi di razzismo verso i cinesi ai tam tam su whatsapp: bufale, fake news e psicosi sono, al momento, il vero contagio in corso.

A Roma in un bar vicino alla Fontana di Trevi, ieri è stato affisso un cartello che vietava l’ingresso a persone di nazionalità cinese. C’era scritto: «A causa delle disposizioni internazionali di sicurezza, a tutte le persone provenienti dalla Cina non è permesso di entrare in questo posto. Cl scusiamo per il problema». Certo, c’è stata l’immediata reazione degli altri commercianti, che si sono dissociati con forza. Ma il segnale è stato chiaro. Il cartello, per fortuna, è stato rimosso. A Tivoli, invece, una mamma ha inviato alle altre madri un audio-messaggio nella chat di Whatsapp della scuola: «Buonasera mamme, volevo avvisare di non portare bambini assolutamente all’Umberto I: una mia cugina stava portando lì il figlio che sta male e l’hanno buttata fuori perché c’è un bambino con questo virus e altri dieci sospetti».  “Mia cugina”: ricorda una canzone di Elio e le Storie Tese, che ironizzava sulle balle e sui luoghi comuni diffusi per sentito dire. Ed è un pò quello che sta avvenendo: “mio cugino”, “un amico di un mio amico”.

Un tipo di atteggiamento che ha delle conseguenze molto reali: «Noi per il capodanno cinese abbiamo avuto quasi la metà delle presenze. I ristoranti cinesi a Roma sono circa 7-800, e per tutti c’è stato un crollo fino al 70%. C’è chi sta già licenziando i camerieri» racconta Jianguo Shu, proprietario di Dao (secondo China Easteat Culture Group tra gli otto ristoranti di cucina cinese migliori al mondo fuori dalla Cina) e presidente della ristorazione cinese a Roma. A Milano il titolare di Iyo (unico ristorante giapponese in Italia con una stella Michelin) Claudio Liu, di origini cinesi, racconta di colleghi che hanno perso il 6o% del lavoro.

FipeConfcommercio ha stimato le perdite del comparto della ristorazione cinese, cinquemila locali nel nostro Paese, in due milioni di euro al giorno. In via Paolo Sarpi, in piena Chinatown milanese, ristoranti solitamente gremiti ieri erano deserti. Addirittura anche un negozio come l’Erbolario, che non vende alimenti (anche se non si contrae il virus dal cibo) da una settimana sta registrando cali di vendite che sfiorano il 50%. E poi c’è il delirio, come quello di una signora che, interpellata in una delle tante interviste di questi giorni, ha dichiarato convinta: «Mica penserete davvero che è un virus nato in Cina? Lo hanno creato i russi o gli americani per farsi la guerra».

Intanto vanno a ruba le mascherine: a Bologna, le scorte  dell’azienda di Paolo Gualandi (uno stock da mezzo milione di pezzi) sono state letteralmente prese d’assalto: «Gli ordini superano enormemente la nostra disponibilità» dichiara allibito il titolare dell’azienda.  Secodno un sondaggio Eurodap su 671 uomini e donne il 21% degli intervistati ha deciso di non prendere i mezzi pubblici in questo periodo, il 78% è preoccupato per la diffusione del patogeno, il 56% ora fa maggiore attenzione all’igiene. E c’è anche chi se ne approfitta: circolano in rete istruzioni contro il contagio che in realtà sono sistemi per piratare informazioni personali.

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