Un anno e mezzo fa commentando il rocambolesco 2018 del Movimento 5 Stelle che l’aveva portato dal successo nelle Politiche del 4 marzo al sorpasso da parte dell’alleato leghista, si era parlato dei rischi per il Movimento 5 Stelle derivanti da una prolungata dipendenza dal partito di Matteo Salvini. Tuttavia, neanche nelle previsioni più azzardate si sarebbe potuto immaginare il declino che ha colpito il Movimento di Luigi Di Maio nel 2019.
I numeri parlano da soli. Nell’ultima Supermedia del 2018 i 5 Stelle erano accreditati del 26%, in discesa costante di circa un punto al mese (-0,92% ogni 30 giorni) dai massimi di aprile dopo il boom delle Politiche. Fra gennaio e le Europee del 26 maggio 2019, il calo anziché rallentare ha raddoppiato la velocità (-1,79% mensile), finché il partito ha toccato il 17,1%. In quindici mesi, il Movimento era passato da essere la prima forza politica con 14 punti di vantaggio sulla seconda, a essere la terza, con 17 punti in meno della prima, la Lega, e quasi 6 in meno della seconda, il PD.
Ma la parabola del Movimento nel corso del 2019 non può essere descritta solo con i numeri. L’anno appena finito infatti, si è aperto su uno scenario politico complesso dopo le fatiche della sessione di bilancio autunnale, in cui erano emerse tutte le divergenze con la Lega, soprattutto sulle politiche economiche più espansive promosse dal Movimento 5 Stelle. La partita più importante dei primi mesi si è giocata proprio sul reddito di cittadinanza, lanciato da Di Maio in una conferenza con Giuseppe Conte e Alessandro Di Battista a fine gennaio – con l’indimenticabile annuncio in diretta della nomina di Lino Banfi nella commissione UNESCO.
La principale promessa elettorale del Movimento 5 Stelle si concretizzava così a meno di un anno dalla formazione del governo giallo-verde, e avrebbe potuto risollevare il Movimento dalla crisi che l’aveva portato sotto il 26% all’inizio dell’anno. Ma l’impulso positivo che il reddito di cittadinanza avrebbe potuto avere sui consensi dei 5 Stelle non si è verificato, anzi: fra la fine di gennaio e la fine di marzo, il Movimento guidato da Di Maio ha vissuto probabilmente il momento di crisi più nera della sua storia, cedendo oltre il 4% nella Supermedia in meno di due mesi, con il PD a meno di un punto dal sorpasso.
Questo crollo si è riflesso nelle tre elezioni regionali, in Abruzzo, Sardegna e Basilicata, svoltesi fra il 10 febbraio e il 24 marzo. Nelle tre consultazioni, M5S non partiva favorito per la vittoria vista la sua storica difficoltà nelle elezioni locali, ma ci si aspettava almeno un risultato discreto in tre regioni del Sud dove i candidati pentastellati alle Politiche avevano raccolto circa il 40%.