In attesa dell’arrivo in sala (30 gennaio) de Il Diritto di Opporsi, con Jamie Foxx e Michael B. Jordan, facciamo un piccolo riepilogo sui film da recuperare che trattano della pena di morte.
Tra le forme di giustizia più controverse e discusse, la pena di morte ha origini antiche: dal diritto romano al mondo orientale, passando per l’impero russo e così via, esistono anche passi della Bibbia in cui sono descritte situazioni che prevedono la pena capitale come punizione per alcune colpe. Ma ci sono anche esempi di clemenza, o quanto meno di avvedutezza, nel corso dei secoli.
Si considerino per esempio i consigli di Seneca a Nerone, sebbene il filosofo fosse favorevole alla pena di morte, o la condanna esplicita che ne fa Agostino di Ippona, invitando al perdono e alla redenzione del colpevole. Nel 1764 Cesare Beccaria pose importanti spunti di riflessione con il suo pamphlet Dei delitti e delle pene, nel quale spiegava chiaramente come l’atto di condannare a morte una persona sia un omicidio a sua volta. Mentre Nietzsche era un fervente sostenitore della rapida morte quale unico gesto possibile al fine di restituire dignità al criminale, macchiatosi di una colpa gravissima.
In letteratura è possibile trovare numerosi passi contro la pena capitale, da Mark Twain a Dostoevskij – tra l’altro graziato da una condanna a morte – da Tolstoj a J.R.R. Tolkien, da Jack London a Victor Hugo, Oscar Wilde e Giovanni Pascoli.
La pena di morte oggi
Di fatto oggi la pena di morte non è più in uso nella maggior parte dei paesi cosiddetti civilizzati, eccezion fatta per gli Stati Uniti (28 su 50 effettivi ancora la applicano), il Giappone, la Cina (in cima alle classifiche per numero di condanne).
Esistono numerosi movimenti ed associazioni abolizionisti – uno su tutti è Amnesty International – ma c’è anche chi invece la invoca a gran voce. Il primo stato al mondo ad abolirla legalmente, nel 1786, è stato il Granducato di Toscana, non a caso sotto l’influenza dello stesso Beccaria, ma già dal 1468 la Repubblica di San Marino non giustiziava più nessuno. Per l’Italia bisognerà aspettare il 1948.
La pena di morte e i movimenti abolizionisti
Un passo fondamentale per quanto riguarda l’argomento è senza alcun dubbio la moratoria (sospensione) universale approvata dall’ONU, nel 2007, per una sospensione internazionale delle pene capitali. L’iniziativa ha preso le mosse dall’Italia, con l’associazione Nessuno Tocchi Caino, il Partito Radicale Transnazionale, Amnesty International e la Comunità di Sant’Egidio, e si è protratta per quasi un ventennio prima di raggiungere un primo risultato positivo. Adesso si punta all’abolizione. Al di là di quali siano i crimini puniti con la pena di morte, è evidente come alla base ci siano delle fortissime componenti di violenza, inumanità e, in moltissimi casi, razzismo. Se a ciò si aggiungono le statistiche sulle possibilità di errore, per cui spesso un innocente viene condannato ed ucciso, ecco allora che la faccenda si complica in maniera quasi indistricabile.
La pena di morte al cinema
Forse anche per questo motivo varie forme artistiche, in quanto espressioni della società, dalla letteratura al teatro, passando per la musica e il cinema, hanno tentato di metabolizzare, definire e comprendere ciò che si nasconde dietro una simile questione.
Il 30 gennaio esce nelle sale italiane Il Diritto di Opporsi (Just Mercy), la storia di Walter McMillian (interpretato da Jamie Foxx), condannato a morte per un crimine non commesso, alla cui difesa lavora un avvocato giovane e idealista (Michael B. Jordan).
Per prepararci al meglio alla visione ecco una piccola lista di titoli consigliati sull’argomento.
Non voglio morire!
Basato sulle lettere della stessa reale protagonista e sugli articoli del Premio Pulitzer Ed Montgomery, Non voglio morire! è la storia di Barbara Graham – Susan Hayward vince per il ruolo Oscar e Golden Globe come Miglior Attrice Protagonista, e un David di Donatello come Miglior Attrice Straniera – una prostituta accusata di omicidio che potrebbe non aver commesso.
Vittima di un’infanzia difficile e di una società che l’ha costretta a vendersi, oltre che di una serie di sfortunati incontri, la Graham avrebbe infatti confessato la sua partecipazione ad un agente sotto copertura. La pellicola diretta da Robert Wise fu accolta favorevolmente dalla critica, che ci vide una sorta di propaganda contro la pena di morte, rafforzata probabilmente dai minuti finali in cui si mostra la camera a gas ed il suo terribile funzionamento.
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Sacco e Vanzetti
Diretto da Giuliano Montaldo, presentato in concorso al 24esimo Festival di Cannes – dove ha ricevuto il Premio per la miglior interpretazione maschile – Sacco e Vanzetti racconta la storia, realmente accaduta, di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti (Riccardo Cucciolla e Gian Maria Volonté), due anarchici italiani emigrati negli Stati Uniti durante gli anni Venti e accusati di rapina a mano armata e omicidio, per i quali finiranno sulla sedia elettrica. Nonostante i numerosi dubbi circa la loro colpevolezza e la testimonianza di un detenuto portoghese che li scagionava, i due uomini furono probabilmente un semplice mezzo usato dal governo per far fronte alla nuova minaccia comunista che tanto spaventava gli Stati Uniti.
Eppure parte della popolazione era dalla loro parte e insorse non appena fu reso noto il verdetto di morte, se non che, dopo dieci giorni di cortei, la polizia e la guardia nazionale dispersero i manifestanti minacciandoli con le mitragliatrici. Sostenuti anche da numerosi intellettuali come Albert Einstein e George Bernard Shaw, Sacco e Vanzetti furono giustiziati il 23 agosto 1927, dopo sette anni di udienze, a distanza di sette minuti uno dall’altro.
Solo cinquant’anni più tardi il governatore del Massachussetts, Michael Dukakis, riconoscerà gli errori del processo, riabilitando i nomi e la memoria dei due uomini. Alla cerimonia fu invitato lo stesso Montaldo, la cui pellicola contribuì in qualche modo a far sì che fosse resa loro giustizia.
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La canzone di chiusura del film, a loro dedicata da John Baez, Here’s to you, divenne un inno generazionale e fu usata da Amnesty International come sigla della campagna per i diritti umani nel mondo, lanciata in onore di Sacco e Vanzetti.
Il Miglio verde
Tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King, scritto e diretto da Frank Darabont, Il Miglio verde narra le vicende di John Coffey (il compianto Michael Clarke Duncan), un gigantesco uomo di colore condannato ingiustamente per l’omicidio di due bambine bianche, e dei secondini che lo tengono in custodia presso il penitenziario di Cold Mountain. Tra gli uomini si instaura un rapporto di confidenza, fiducia ed amicizia, sino al tragico epilogo.
Nominato come Miglior Film agli Oscar, tra i numerosissimi riconoscimenti, il film appare un ritratto alquanto romanzato delle condizioni di vita all’interno di un braccio della morte, ma al tempo stesso denuncia in maniera esplicita alcuni meccanismi che si trovano dietro al sistema (oltre che alla società che quel sistema ha generato e sostiene) e a causa dei quali spesso tocca agli innocenti pagare colpe non commesse.
Fino a prova contraria
Tratto dal romanzo Prima di mezzanotte di Andrew Klavan, diretto ed interpretato da Clint Eastwood, Fino a prova contraria tratta di un giornalista appena tornato in azione, dopo un periodo di dipendenza dall’alcol, che si imbatte nella storia di Beechum (Isaiah Washington), un giovane di colore condannato a morte per l’omicidio di una donna bianca. Durante le sue ricerche per l’articolo, l’uomo inizia a sospettare dell’innocenza di Beechum.
Ancora un caso di ingiustizia quindi, sostenuta dal razzismo spesso imperante negli Stati Uniti.
Il titolo originale della pellicola, True crime, sembra quindi alludere a quel “vero crimine” che è il sistema penitenziario americano, il quale si arroga il diritto di togliere la vita anche in casi poco chiari e dalle prove circostanziali.
Una piccola curiosità: la canzone sui titoli di coda, Why Should I Care? è composta dallo stesso Eastwood.
The life of David Gale
Ultima regia di Alan Parker, tra i candidati all’Orso d’Oro al Festival di Berlino, The life of David Gale è la storia del professore universitario ed attivista convinto, che da il titolo al film, condannato a morte per lo stupro e l’assassinio di una sua amica.
Sviluppato come un viaggio a ritroso nella vita e nelle attività dell’uomo (interpretato da Kevin Spacey), intervistato da una giovane e fervente giornalista (Kate Winslet), il film getta tutta una serie di spunti di riflessione sull’affidabilità di un sistema giudiziario che prevede una pena senza ritorno, e su come i pregiudizi abbiano sempre, purtroppo, un ruolo fondamentale in esso.
I confini tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato si fanno sempre più sottili, ed è necessario porre un’attenzione, una cura ed un’umanità eccezionali al fine di rendere migliore questo mondo.