La Guardia di Finanza ha fatto irruzione a Milano, Catania e Roma. “Sul caso Eni-Nigeria siamo convinti di essere parte lesa”, sostiene la compagnia.
Torna a tenere banco il caso Eni-Nigeria. La Guardia di Finanza ha effettuato una serie di perquisizioni nelle tre sedi italiane della compagnia petrolifera. Così, i militari sono entrati in azione a Milano, Catania e Roma alla ricerca di nuove informazioni. L’inchiesta è stata affidata al procuratore aggiunto Laura Pedio, coadiuvato dal pm Paolo Storari, entrambi della Procura di Milano.
I protagonisti di questa vicenda non sono molti, ma sono già noti alle cronache italiane. Come Denis Verdini, ex parlamentare di Forza Italia e che rientra in questa indagine come “terzo non indagato”. Le attenzioni degli inquirenti sono rivolte principalmente a Piero Amara, ex legale esterno di Eni e arrestato nel 2018 in un’inchiesta che è poi risultata collegata a quella in corso. Al centro delle perquisizioni ci sono anche Alessandra Geraci, avvocato e collaboratore di Amara, e Alfio Rapisarda, il capo della security di Eni.
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Dopo le perquisizioni, Eni ha deciso di diffondere un comunicato che commenta la recente operazione della Guardia di Finanza. “Eni è certa che gli accertamenti della magistratura inquirente, nella cui attività la società ripone assoluta ed incondizionata fiducia, consentiranno di ulteriormente chiarire l’estraneità della società alle ipotesi investigative avanzate. Per quanto riguarda l’ipotesi relativa al cosiddetto “depistaggio”, Eni ribadisce la fermissima convinzione di essere parte lesa“. Resta il fatto che si sono aggiunti altri due indagati. Si tratta di Claudio Granata e Michele Bianco, rispettivamente chief services & stakeholder relations officer e Vice presidente Affari Legali di Eni.
L’indagine sul caso Eni-Nigeria va avanti ormai da diversi mesi. Sono molti anche i casi di accusa nei confronti degli indagati, in primis quello di associazione a delinquere. Si parla anche di corruzione tra privati e induzione a non rendere dichiarazione o rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria. Si parla del presunto depistaggio nel caso che riguarda il versamento di tangenti nei confronti del gruppo della compagnia petrolifera che opera nel Paese africano.
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