Clint Eastwood | come è cambiato il suo cinema negli ultimi anni

Dal 2018, con il film Ore 15:17 – Attacco al treno, facilmente archiviato come lavoro minore poco riuscito, il cinema di Clint Eastwood è cambiato radicalmente. È cambiato il suo modo di dirigere e di mettere in scena, ma non il significato ultimo di tutto ciò che racconta.

Tre anni fa Clint Eastwood tentò una operazione difficilissima con il film (sperimentale nella definizione letterale del termine) Ore 15:17 – Attacco al treno, immediatamente relegato ad opera marginale nell’immensa filmografia del regista e invece punto di svolta di un cinema adesso principalmente guidato dall’urgenza di esistere.

Clint Eastwood, cosa è cambiato nel suo cinema

Per Eastwood fare cinema (e quindi fare film) è una necessità. Necessità per la quale si è disposti a sacrificare l’approfondimento in sceneggiatura (quella del film del 2018 sembrava addirittura una bozza e non una versione definitiva) e a rinunciare alla perfezione geometrica delle inquadrature (come in Sully) o al montaggio raffinato e ragionato (come in American Sniper).

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Gli ultimi film di Clint Eastwood sono film caratterizzati dalla rapidità di esecuzione, “instant movies” destinati ad “appassire” nel giro di ventiquattrore come i fiori coltivati da Earl Stone in The Mule. Quel film, che ha segnato il ritorno di Clint Eastwood nelle vesti di attore dopo sei anni dedicati esclusivamente alla regia, si è posto come il manifesto di un nuovo e diverso modo di fare cinema. 

Clint Eastwood e la necessità di fare cinema

Se tutti si aspettavano un western post-moderno crepuscolare e dai toni cupi, Eastwood ha invece realizzato uno dei film più vitali della sua carriera, il cui protagonista è un anziano signore desideroso di vivere ciò che resta, amante delle belle donne e del buon cibo (emblematica la scena in cui devia dal percorso prestabilito dai narcotrafficanti per concedersi un panino col pulled pork).

Ma The Mule conferma anche una convinzione che da sempre muove i personaggi eastwoodiani, quella per cui non si è mai giudicati per cosa si dice o per come si è, ma per ciò che si fa. Così anche Stone, bifolco che utilizza gli epiteti più dispregiativi per indicare persone di colore e messicani, non si tira indietro quando c’è da difendere un autista latino fermato dagli agenti di polizia senza apparente motivo ma solo perché inquadrabile nello stereotipo del trafficante di stupefacenti.

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Richard Jewell, il suo nuovo film

D’altronde già il Kowalksi di Gran Torino utilizzava l’insulto come livella per mettere gli uomini sullo stesso piano. Le parole che si pronunciano sono ininfluenti per Eastwood. Contano solo le azioni. Così anche gli “eroi” dei suoi ultimi film non sono attraenti o memorabili come quelli che abbiamo imparato a conoscere in altre opere che li celebrano, ma caratterizzati solo dal senso del dovere. Lo spettatore non desidera essere come loro, neanche quando questi sono interpretati su schermo da divi come Bradley Cooper o Tom Hanks.

Il nuovo Richard Jewell compie in questo senso un ulteriore passo in avanti. Il personaggio di Paul Walter Hauser è uno dei meno “desiderabili” della filmografia di Eastwood, ossessionato dalle strategie militari e caratterizzato da un attaccamento morboso verso tutto ciò che riguarda l’ordine e la sicurezza. Nonostante ciò, Eastwood, dimostrando una grande vicinanza umana al suo protagonista, mette su schermo ancora una volta il senso ultimo del “patriottismo”: svolgere con onore nel momento giusto il ruolo che ti è stato affidato dalla società.

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