La miniserie televisiva ideata da Mark Gatiss e Steven Moffat, i talenti britannici dietro al successo di Sherlock con Benedict Cumberbatch, è un prodotto consapevole di se stesso. Accetta l’operazione surreale di utilizzare lo stesso trattamento adottato per il personaggio di Arthur Conan Doyle anche per quello di Bram Stoker.
Già dalla prima puntata è chiaro che lo scopo di Gatiss e Moffat non è quello di riadattare (per l’ennesima volta) il romanzo di Stoker, ma quello di fornire una nuova lettura del personaggio alla luce di tutto ciò che è venuto dopo il libro del 1897. Il Dracula del duo britannico include già in sé tutti gli eventuali rimaneggiamenti, le diverse interpretazioni fornite nel corso degli anni. Non si distrugge tutto per fondare una nuova mitologia, ma si tiene conto dell’enorme materiale a propria disposizione per ricomporlo secondo il gusto post-moderno oggi di moda.
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Dracula, virtù e difetti della serie
La serie Bbc-Netflix pone domande e non fornisce quasi mai risposte definitive (e anche quando le fornisce, non è mai chiaro se siano attendibili o meno). Perché i vampiri temono le icone cristiane? Il sole li brucia? I paletti li uccidono? Se sì, di quale legno devono essere fatti? Possono entrare in un luogo chiuso solo se invitati? Il loro morso è mortale? E l’aglio?
Quando nessuno di questi punti fermi (che nelle altre trasposizioni erano chiariti immediatamente e contribuivano a caratterizzare il personaggio, con i suoi punti di forza e le sue debolezze) viene confermato, allora vale tutto e una scena può contraddire quella immediatamente precedente e poi essere smentita da quella immediatamente successiva.
Dracula, tenere conto del passato
È certamente vincente l’idea di “mettersi in scia” a tutto il resto. Di giocare con le convinzioni che lo spettatore ha riguardo al personaggio (maturate in base a ciò che ha visto prima di questa serie) per spiazzarlo continuamente. Il Dracula di Claes Bang conserva il romanticismo di quello di Coppola, ma è anche agonizzante come quello tedesco di Murau prima e di Herzog dopo e infine seduttore e perverso come quello di Bela Lugosi. A mancare, semmai, è la capacità di governare il genere. Accettato il tono ironico dell’operazione, manca però l’avventura.
La struttura è quella ormai rodata di Gatiss e Moffat: incipit molto classico, ribaltamento di prospettiva, lettura metanarrativa degli eventi e almeno due finali in contraddizione l’uno con l’altro. Eppure, eccezion fatta per la seconda puntata, ambientata sulla nave che conduce Dracula a Londra, i tre episodi sembrano mancare di una mano ferma in grado non solo di stuzzicare l’intelligenza dello spettatore, ma anche di appassionarlo con una trama avvincente.
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Dracula, poco rigore e troppa confusione
Forse più sbilanciato verso le primissime incarnazioni cinematografiche (con le loro implicazioni sessuali), il nuovo Dracula recupera il gusto dell’orrore della Hammer ma non ha il loro caratteristico rigore narrativo (la semplicità e linearità del racconto come fondamento necessario). Eppure la straripante inventiva del duo britannico stavolta non sembra trovare il canale ideale.
Tre episodi sono pochi per contenere tutto ciò che Gatiss e Moffat hanno pensato. E a causa di una incapacità manifesta di selezione del materiale all’origine, dalla zuppa cucinata nel loro calderone stavolta emergono con forza i sapori sgradevoli, che coprono tutto quello che di buono c’è. Che rimane lì, ma come un retrogusto.