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Cinema

100 anni di Fellini | il suo cinema sopravvive alla nostalgica idealizzazione

Oggi Federico Fellini avrebbe compiuto 100 anni. Il 20 gennaio del 1920 nasceva a Rimini uno dei talenti più puri del cinema mondiale: un visionario che negli anni ha ispirato diverse generazioni di cineasti, ma che troppo spesso viene ricordato per quello che non è mai stato. 

Per tantissimi anni Federico Fellini è stato il regista italiano più citato e ammirato nel mondo. Merito in primo luogo di una filmografia irripetibile, composta da ventiquattro film che non assomigliano a nient’altro di tutto ciò che è venuto prima di loro (e nient’altro è riuscito anche lontanamente a somigliare a quei film, successivamente). 

Federico Fellini, un genio primordiale

Vincitore di cinque Oscar e ideatore di almeno quattro film considerati cruciali per la storia del mezzo cinematografico, Fellini ha inseguito per tutta la vita una visione personale di cinema ponendosi degli obiettivi che nessuno si era mai posto. Ma Come molti altri personaggi complessi e incollocabili della cultura italiana (vedasi Pier Paolo Pasolini), anche lui ha subìto un processo di “museificazione”. Il suo cinema, che trovava la sua forza più nella grettezza che nella raffinatezza, è stato idealizzato a tal punto che il suo ricordo non è oggi più veritiero.

Tutti gli aggettivi di venerazione che vengono spesi per lui sembrano non considerare la “materialità” del suo cinema, sempre oggetto di scandalo e polemica (si ricordano i rapporti difficilissimi con le istituzioni religiose già prima de La Dolce Vita). Il ricordo nostalgico di un passato cinematografico glorioso sembra aver annullato i tratti unici del cinema felliniano, che tutti celebrano e in pochissimi conoscono. 

Leggi anche: Omaggio a Federico Fellini: spettacolo teatrale per i 100 anni dalla nascita

Federico Fellini, i rischi dell’idealizzazione

Ancora oggi Fellini è il soggetto principale di volumi sul cinema e tesi di laurea. Il regista a cui si dedicano in assoluto più retrospettive e convegni. Celebrato dalla cultura salottiera come simbolo di incrollabile professionalità e rispettabile maestro, Fellini ha riservato nel suo cinema tutti i vizi (il cibo, le donne) e le ossessioni di un uomo poco desiderabile, che attraverso il mezzo filmico metteva a nudo le sue piccinerie. 

“Uomo di cultura” che ha sempre ammesso di non avere mai letto nessuna delle opere letterarie più conosciute, Fellini era molto più appassionato di fumetti (dato anche il suo amore per il disegno) e di giornaletti umoristici che di grandi romanzi. Nessuno, guardando la sua filmografia, si stupirebbe di ciò, eppure l’aspetto primordiale del suo cinema, che trova la sua dimensione nell’onirico e mai nel razionale, che prende il via da istinto e necessità piuttosto che da propositi alti o intellettuali, sembra essere costantemente dimenticato.

Leggi anche: Fellini degli Spiriti, il film documentario di Anselma Dell’Olio

Federico Fellini e Toby Dammit

Sempre citato per Amarcord e , Fellini è anche quello di Toby Dammit, episodio nel film collettivo Tre Passi nel Delirio, falso horror tratto da Edgar Allan Poe con protagonista un regista-vampiro chiamato a girare un film su Gesù: tripudio di pulsioni bassissime, pernacchie in faccia al potere costituito e animato da un gusto estremo per l’inconfessabile. Materia perfetta per il cinema di Roger Corman ma messa su schermo con la cura delle grandi produzioni. Fellini è stato Fellini anche grazie alle centinaia di maestranze (sarti, costumisti, scenografi) che in ogni momento cercavano di ricreare con il loro artigianato i mondi di finzione immaginati dal regista.

Ed è solo grazie a quelle professionalità del cinema se nacque , film che in tantissimi hanno cercato di emulare: prima Woody Allen con Stardust Memories e poi Spike Jonze con Il ladro di Orchidee. Film che raccontano i problemi di chi li fa. Cinema che in nessun momento chiede allo spettatore di riflettere su ciò che sta vedendo, ma che invece punta al suo appagamento sensoriale. Spesso considerata opera di difficile comprensione (dal momento che Fellini riprende sogno e realtà nella stessa identica maniera, per mettere insieme le due vite dell’uomo, quella ad occhi aperti e quella ad occhi chiusi), 8½ è in realtà un film che decreta la marginalità della trama per raccontare le relazioni degli uomini attraverso il modo con cui le immagini interagiscono col sonoro.

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