Il 13 gennaio 2012 alle ore 21:45 circa, la nave da crociera Costa Concordia, si scontra su uno scoglio a poche centinaia di metri dall’Isola del Giglio. Dopo poco più di un’ora il transatlantico è riverso sul fianco destro. Al momento dell’impatto oltre 4.000 persone tra equipaggio e ospiti sono presenti. Sarà il più grande naufragio degli ultimi 100 anni: muoiono 32 persone. L’ex comandante della nave, Francesco Schettino, è l’unico responsabile ad aver pagato con il carcere.
Il Processo Concordia-Schettino-Giglio registra 71 udienze, 600 ore circa di dibattimento e, per certi versi, un solo imputato: Francesco Schettino, l’ex comandante della nave naufragata sull’isola del Giglio il 13 gennaio del 2012. Gli atti del processo sono imponenti: cento faldoni e quasi 56.000 pagine. E alla fine arriva la condanna di Schettino: 16 anni di carcere in via definitiva. L’accusa ne aveva chiesti 27, la difesa: l’assoluzione. Condanna confermata dalla Corte d’Appello di Firenze e poi alla Cassazione. Sedici anni di carcere, di cui 5 anni per naufragio colposo, dieci anni per omicidio plurimo colposo e lesioni plurime colpose (32 morti e 157 feriti), 1 anno per aver abbandono di nave ed incapaci. E’ stato anche interdetto per 5 anni come comandante di nave e interdizione perpetua dai pubblici uffici. Francesco Schettino, un’ora dopo la condanna in via definitiva, si presenta presso la Casa Circondariale di Rebibbia nuovo complesso a Roma.
La Costa Concordia: il tragitto, l’inchino, il naufragio
La Costa Concordia era una città galleggiante: lunga trecento metri con 1500 cabine, 13 bar, 5 ristoranti, la Spa, 4 piscine, discoteche e aree sport e 4000 persone a bordo. Partita da Civitavecchia avrebbe dovuto seguire queste tappe: Marsiglia, Barcellona, Palma de Maiorca, Cagliari, Palermo. Durante il tragitto, lasciata da poco Civitavecchia la Concordia devia per l’isola del Giglio, per fare “l’inchino”. Il gigante del mare si avvicina il più possibile alla costa. Il comandante Schettino, prima della partenza, pianifica la rotta e, come da prassi, la rotta era stata tracciata sulla carta ed esibita agli ufficiali di guardia. Eppure, intervistato dai giornalisti di “Report”, il capo progetto tecnico della Concordia – Costa Crociere, Franco Porcellacchia, dice che non era un’usanza della società fare “l’inchino” e definisce un’imprudenza quella manovra, compiuta dalla nave e dal suo comandante.
Inchino : pratica sempre fatta
Sei mesi prima, esattamente il 14 agosto 2011, proprio la Concordia, sotto il comando di Massimo Garbarino, ha effettuato la medesima manovra, con il saluto all’isola del Giglio e il cosiddetto inchino “con il fischio della sirena”, come è riportato sul programma di bordo, mostrato durante la trasmissione di Raitre. A confermare che gli inchini si facevano, uno scambio di messaggi tra il sindaco dell’isola, sempre intervistato dal programma, e il comandante. Ne consegue che gli inchini si facevano eccome.
Il ruolo del timoniere, quel comando non compreso
Torniamo al 13 gennaio 2012. Quella sera, Schettino era in plancia di comando per omaggiare l’isola. Dagli atti risulta che il comandante era a cena e che arriva in plancia di comando alle 20.39 e ne assume il comando sei minuti prima dell’impatto, a manovra in corso. Ma cosa vede Schettino quando arriva? Vede la schiuma prodotta dalla nave che impatta sullo scoglio: segnale evidente che la nave di sta muovendo in acque troppo basse. A questo punto ordina al timoniere indonesiano, Rusli Bin, il comando di andare tutto a destra, poi a sinistra, ma il timoniere – nonostante risponde in maniera affermativa, ripetendo il comando di Schettino, compie la manovra in maniera esattamente contraria. Insomma il timoniere pare non capire il comando impartito in inglese dal comandante Schettino. Lo stesso timoniere successivamente al disastro è sparito: non si è presentato al processo e attraverso i suoi legali ha patteggiato una pena per poco meno di due anni di reclusione (mai scontati). Lo stesso timoniere ha dichiarato, dopo il naufragio, di essere al timone da solo venti giorni e che precedentemente faceva pulizie e verniciatura. Quella sera 32 persone muoiono perché la nave sbatte contro uno scoglio a 200 metri da riva: sono le 21.45. Lo scafo viene squarciato per 70 metri. L’abbandono nave viene invece dato alle 22.54. In pratica un’ora dopo l’impatto.
Con tre compartimenti allagati la Concordia non affonda
Questo succede perché Schettino passa trenta minuti al telefono con Roberto Ferrarini, il terzo responsabile dell’Unità di crisi di Costa. Così Schettino viene accusato di non aver chiamato subito la Capitaneria per comunicare della falla e di quello che stava succedendo a bordo. A chiamarla ci pensano invece i passeggeri. E quando la Capitaneria chiama a bordo, gli viene risposto che c’è un blackout invece di avvisare della falla. Schettino – durante l’intervista a Report – ha chiarito che la nave con tre compartimenti allagati galleggia, ed alcuni elementi ancora non erano chiari perché la strumentazione era fuori uso, infatti quella sera, i danni non riguardavano solo i tre compartimenti allagati, c’erano stati altre situazioni con l’urto e il computer non funzionava, in pratica non poteva avere un’idea precisa.
L’ordine impartito dal capitano Gregorio De Falco
Nei giorni del naufragio della nave Concordia, l’ufficiale della Capitaneria di porto di Livorno, il capitano Gregorio De Falco, si era trasformato in una sorta di eroe nazionale, per aver ordinato a Schettino di tornare a bordo con il suo famoso “vada a bordo, ca..o“. A distanza di un mese e mezzo dal naufragio poi, il capitano De Falco viene trasferito ad altro incarico.
La nave si piega completamente su un fianco sul basso fondale
Poi a mezzanotte la nave continua ad inclinarsi e trenta minuti dopo affonda, ribaltandosi completamente sul lato destro. Succede che si verifica il mancato funzionamento del generatore di emergenza: questo ha provocato il malfunzionamento di ascensori e di alcune scialuppe. C’è da dire anche che prima della partenza, la scatola nera e un radar non funzionavano bene e che dopo l’impatto, alcune porte stagne non riescono a isolare l’acqua che entra dalla falla perché non tengono. Questo viene fuori dal processo. Eppure prima della partenza si esegue sulla nave una manutenzione programmata, che viene affidata dal comandante agli ufficiali di bordo con delega e ciascuno di essi ha un compito ben preciso.