I giudici della Corte d’Appello di Roma hanno bocciato la richiesta degli avvocati Placanica e Tagliaferri. No ai domiciliari per Massimo Carminati.
Il ‘nero’ Massimo Carminati resta in carcere. La motivazione è la stessa data a Giovanni Brusca in un altro processo: “Non si è pentito per niente“. E pensare che tutti gli altri imputati nella vicenda “Mondo di mezzo”, sono invece a casa. “Gravissime esigenze cautelari, tenuto conto, tra l’altro, della rete di relazioni di Massimo Carminati con gli ambienti criminali romani“ – così i giudici della Corte d’Apello di Roma. Dunque: istanza respinta.
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I giudici hanno bocciato la richiesta degli avvocati Cesare Placanica e Francesco Tagliaferri. Non soltanto, sulla base della recente sentenza della Cassazione che ha confermato il quadro accusatorio “riconoscendo in particolare il ruolo di promotore e organizzatore di Carminati con due pericolose associazioni a delinquere“, ma anche a fronte della mancanza di resipiscenza da parte dell’imputato, dopo i lunghi periodi di detenzione già patiti”.
“La decisione della Corte d’Appello – ha commentato l’avvocato Tagliaferri – non tiene conto del pronunciamento della Cassazione, che ha notevolmente ridimensionato la vicenda. E, tra l’altro, mi sembra che ci sia una chiara disparità di trattamento, visto che tutti gli altri imputati sono ai domiciliari”. II riferimento è alla sentenza dello scorso settembre, che ha definitivamente cancellato l’ipotesi di associazione mafiosa dall’inchiesta “Mondo di mezzo”. Poi, al fatto che a tutti gli affiliati all’organizzazione sono stati concessi i domiciliari. L’ultimo è Salvatore Buzzi, il re delle coop, 18 anni e quattro mesi in secondo grado, rispetto ai 14 e sei mesi di Carminati. Pene che, però, saranno rideterminate in un appello bis.
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I giudici scrivono che dal certificato penale dell’imputato Massimo Carminati si evince il profilo criminale, il quale è gravato da precedenti “inquietanti e continuativi nel tempo, aventi ad oggetto reati contro la persona, reati associativi e reati commessi con l’uso di armi”. E poi aggiungono: “A fronte di tali precedenti penali e dei conseguenti lunghi periodi di detenzione già sofferti in espiazione delle relative pene, lungi dai manifestare resipiscenza, Carminati ha continuato, in modo ininterrotto, a rendersi responsabile di gravi delitti, assumendo nel tempo uno spessore criminale tale da incutere rispetto e timore persino nell’ambito di pericolose associazioni criminali, oltre che nelle potenziali vittime, avendo anche la disponibilità di armi”. I giudici sentenziano dunque che la misura dei domiciliari “non appare idonea a salvaguardare le gravissime esigenze cautelari, tenuto conto, tra l’altro, della rete di relazioni del Carminati con gli ambienti criminali romani”.
La risposta della difesa: “Carminati è l’unico tra tutti ad avere scontato circa tre anni il regime di carcere duro“. Quanto alla pericolosità sociale. “Il presunto spessore criminale – continua Tagliaferri – fa parte di quel mito che oramai incarna Carminati nell’immaginario collettivo. Non c’è alcuna corrispondenza con il certificato penale”.
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