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Cronaca

Omicidio Mattarella, parla l’ex pm Agueci: mafia e ambienti neofascisti

Pubblicata una recente intervista di Leonardo Agueci, magistrato che rappresentò l’accusa nel processo d’appello per l’omicidio di Piersanti Mattarella. L’ex pm ha rilasciato interessanti dichiarazioni ai giornalisti di Adnkronos.

Riemerge il caso di Piersanti Mattarella, politico italiano assassinato da Cosa nostra durante il mandato di presidente della Regione Siciliana il 6 gennaio del 1980, in via Libertà a Palermo. A raccontare nuovi dettagli e a confermare alcune delle ipotesi già proposte in passato è il magistrato Agueci, che per l’Adnkronos ha sottolineato come fosse molto stretto il rapporto tra mafia e la pista neofascista.

I boss mafiosi, mandanti dell’omicidio, vennero condannati all’ergastolo, ma l’esecutore materiale del fatto è ancora a piede libero. La moglie di Mattarella, testimone oculare, additò Giusva Fioravanti, che venne però assolto per via di mancanza di prove considerate attendibili. Giusva era un esponente del gruppo eversivo Nuclei Armati Rivoluzionari, d’ispirazione neofascista.

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Leonardo Agueci sul terrorista Fioravanti

Ed è proprio dalla figura di Fioravanti che Agueci inizia il suo discorso per le penne della testata. Durante le prime battute dell’intervista, infatti, il magistrato dichiara che “anche se oggi Giusva Fioravanti confessasse di essere il killer di Piersanti Mattarella, non potrebbe più essere condannato, perché la sentenza di assoluzione è diventata definitiva”.

Ma sottolinea: “Però ritengo utile fare ulteriori approfondimenti, perché possono essere intercettate altre responsabilità. E potrebbe emergere il coinvolgimento di altre persone. Non bisogna mai rinunciare alla ricerca delle verità”.

Non a caso, l’allora sostituto procuratore generale di Palermo nel 1998 aveva chiesto la condanna per il terrorista Fioravanti, riprendendo tra l’altro le tesi di Giovanni Falcone. “Ci credevo e ci credo tuttora alla colpevolezza di Fioravanti, dalla lettura degli atti mi ero reso conto che c’erano tutti gli elementi per portare alla condanna di Fioravanti”.

Ma il terrorista venne assolto. Era il 17 febbraio del 1998 quando i giudici d’appello ne confermarono l’assoluzione, insieme a Gilberto Cavallini, e condannarono invece all’ergastolo i boss di Cosa nostra. Secondo i giudici della Corte d’assise d’appello di Palermo, infatti, il gruppo mafioso non si sarebbe mai potuto avvalere di un killer “esterno”.

il terrorista Giusva Fioravanti

Il dialogo tra mafia e ambiente neofascista

Un abbaglio, questo, che solo negli ultimi tempi è riuscito ad emergere; perché come afferma Agueci, “oggi rispetto agli anni Novanta si è acquisita maggiore consapevolezza della possibilità di dialogo che esisteva tra mafia e altri ambienti criminali“, in particolare con l’ambiente terrorista neofascista.

La pista neofascista, basata su un presunto scambio di favori, era partita dal riconoscimento di Fioravanti fatto dalla vedova Mattarella, Irma Chiazzese, testimone oculare dell’omicidio del marito. “Questo fortissimo elemento di prova assieme a tanti altri oggettivi riscontri non sono stati riconosciuti però sufficienti per affermare la colpevolezza dei terroristi neri”, afferma Agueci.

Che prosegue: “Ci sono stati numerosi elementi di prova che indicavano Fioravanti come killer di Mattarella; ora, tutti questi elementi, che in altre situazioni probabilmente sarebbero stati sufficienti per ritenere la responsabilità di un individuo, in questo caso, perché non sono state ritenute valide? Perché hanno trovato come ostacolo un ragionamento esterno, cioè che la mafia non poteva tollerare che un’azione così eclatante prevedesse la presenza attiva di un soggetto che non ne facesse parte”.

il magistrato Leonardo Agueci

Significativa, a questo punto, la domanda di Agueci: “è ancora insuperabile o si può superare” il fatto che la mafia collabori anche con altri ambienti criminali? Perché, secondo il magistrato, “non è cosi ferreo il dogma della mafia che non accetta collaborazioni ‘esterne'”.

Per questo, poi, conclude ribadendo: “Senza fare dietrologia […] se c’è la possibilità di fare degli accertamenti che all’epoca non furono fatti, si facciano”. In qualunque caso, infatti, la “ricerca della verità” va proseguita, “non si deve mai fermare”.

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