Salvini non teme il procedimento per il caso Gregoretti, la Diciotti è un precedente scriminante. Il leader leghista aveva agito nell’interesse del paese
Sui social Salvini annuncia le sue memorie difensive, ed è pronto a scontarsi sul caso Gregoretti. All’epoca dei fatti i leader della Lega era Ministro degli Interni, e da quella posizione le sue decisioni possono e devono essere interpretate diversamente.
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Tra Gregoretti e Diciotti, non si può non sottolineare la destinazione delle due imbarcazioni. Se la Diciotti era infatti una Ong, la seconda nave apparteneva alla Guardia Costiera italiana. E allora, l’ex ministro dell’interno non aveva dunque il potere di bloccare una nave militare. Il tribunale dei Ministri di Catania ha scritto nel dispositivo che nel caso Gregoretti “è assolutamente pacifico che il coordinamento e la responsabilità primaria dell’intera operazione siano stati assunti dallo stato italiano”.
“Amici, entro domani depositerò le mie memorie difensive in Senato perché rischio un processo e una condanna a 15 ANNI di carcere dopo aver bloccato, da Ministro dell’Interno, uno sbarco di immigrati da una nave. Scrive Salvini su Facebook – Che i Senatori decidano secondo coscienza se ho difeso l’interesse nazionale oppure no, non ho paura della sinistra e delle sue vendette. Sto studiando vita e opere di Silvio Pellico…!”
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Poi la chiosa, rivolta ai suoi ex alleati di governo “Mi processino e mi incarcerino pure se credono, ho sempre agito a difesa del mio Paese e della sicurezza degli Italiani”
Le accuse secondo Salvini possono passare in secondo piano, infatti il leader del carroccio nelle sue memorie sosterrà quanto già detto in occasione del caso Diciotti. La sua decisione è stata presa nel mero interesse del paese, e dunque non può in questo caso pendere sulla sua testa l’accusa di sequestro di persone. Insomma, scelte compiute nell’interesse nazionale con ampia collegialità e sollevando la questione delle prerogative della politica.
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Il precedente scriminante, Diciotti, rimane però fonte di grande imbarazzo per la maggioranza. In quell’occasione gli stessi che oggi condannano Salvini lo avevano difeso pubblicamente. Conte, Di Maio e Toninelli si erano autoaccusati, rivendicando la paternità delle scelte e schierandosi senza se e senza ma dalla parte dell’allora ministro dell’Interno.
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