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Cronaca

Delitto di Garlasco, la procura dà ragione ad Alberto Stasi sul Dna prelevato di nascosto

Nuovi sviluppi in merito al delitto di Garlasco: la procura di Milano ha dato ragione ad Alberto Stasi, in merito alle tracce di Dna prelevate da un bicchiere sul quale aveva bevuto Andrea Sempio, ora fuori dalle indagini.

La questione, i cui sviluppi sono emersi soltanto di recente, affonda le sue radici nel 2016, anno in cui venne prelevato del Dna appartenente ad Andrea Sempio sotto il consenso della difesa di Stasi. La procura di Milano ha infine dato ragione al ragazzo di Chiara Poggi, condannato per l’omicidio della ragazza, come si legge sulle pagine del Corriere.

Già negli scorsi giorni, comunque, un altro elemento a favore del condannato era emerso durante la trasmissione de Le Iene, e per il quale sembrerebbe confermato l’alibi da sempre sostenuto da Stasi e dai suoi legali.

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Le tracce di Dna prelevate dal bicchierino da caffè

Per il delitto di Garlasco, atroce fatto che ha visto Chiara Poggi brutalmente uccisa nell’agosto del 2007, Alberto Stasi è stato accusato e condannato a ben 16 anni di reclusione. Nel 2016, però, vennero messe in atto alcune manovre investigative che fecero poi aprire nuove strade al terribile caso di cronaca nera, e per le quali la difesa di Stasi cercò di ottenere (e ci riuscì) delle tracce di Dna appartenenti ad un altro indiziato.

Tre anni fa, infatti, la Skp Investigazioni srl prelevò dei campioni da un bicchierino intriso di caffè usato da Andrea Sempio, amico di Marco Poggi, fratello della vittima. Per la difesa di Alberto, infatti, sarebbe suo il Dna sotto le unghie di Chiara Poggi. Tuttavia, l’esame volto a verificare tale ipotesi non è mai stato eseguito a causa della scarsità del campione prelevato dal corpo della giovane vittima.

D’altro canto, i legali di Sempio denunciarono tale azione illegittima, poiché sarebbe avvenuta senza la consapevolezza del diretto interessato. Per tale ragione, gli stessi investigatori presentarono la richiesta di revisione del processo, segnalando Andrea solo come colpevole alternativo.

Il caso, infine, terminò con la condanna definitiva di Alberto Stasi a 16 anni di reclusione e all’uscita di Andrea Sempio dal giro delle indagini.

Lo scagionamento di Andrea Sempio

All’epoca del caso, infatti, i legali di Andra Sempio, si appellarono contro l’operazione effettuata dagli investigatori in difesa di Alberto Stasi, parlando di violazione della privacy del loro cliente.

Gli avvocati del ragazzo di Chiara, però, ritennero che quel campione prelevato dal bicchiere avrebbe potuto essere significativo, nel caso permettesse di dimostrare la corrispondenza del profilo genetico ritrovato sotto le unghie di Chiara Poggi durante l’autopsia del cadavere. Tale elemento avrebbe seriamente influito sulla possibile assoluzione di Alberto.

Data l’insufficienza di materiale organico rinvenuto sul corpo della giovane vittima, però, non fu possibile effettuare alcun tipo di esame. Fu allora che avvenne lo scagionamento definitivo di Andrea Sempio, seguito poi da un esposto contro la violazione dei diritti di privacy.

A quel punto la Procura di Milano aprì un fascicolo contro ignoti, per poi chiederne l’archiviazione. La gip Elisabetta Meyer, tuttavia, respinse l’archiviazione e dispose che venissero iscritti nel registro degli indagati sia i detective della Skp Investigazioni srl che l’allora avvocato di Stasi.

La procura dà ragione ad Alberto Stasi

Con in atto l’ordine della gip di indagare gli investigatori di Stasi, il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale ha tuttavia chiesto nuovamente l’archiviazione per due motivi. Il primo riguarda la legittimazione della procedura del prelievo furtivo poiché, pur essendo stata “eseguita senza il consenso” di Sempio, non è stata né “invasiva” né “lesiva della sua integrità personale”. Il secondo si riferisce ai dati genetici di Sempio, che sarebbero stati utilizzati “per le sole finalità connesse all’investigazione difensiva”e  “per il tempo strettamente necessario” alle stesse.

Ora tocca quindi nuovamente al Gip prendere in mano la situazione, e decidere se archiviare o meno l’indagine.

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