I due carabinieri imputati si costituiscono parte civile contro due loro superiori al processo sui depistaggi per la morte di Stefano Cucchi. “Non sapevamo del pestaggio. Dopo i Cucchi, le vittime siamo noi”.
Dopo la condanna della Corte d’Assise di Roma a 12 anni di carcere per omicidio preterintenzionale Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro ai danni di Stefano Cucchi, il processo sul caso non è ancora concluso.
Massimiliano Colombo Labriola e Francesco Di Sano, due carabinieri imputati al processo sui depistaggi per la morte di Stefano Cucchi, hanno annunciato di volersi costituire parte civile nei confronti di altri due loro colleghi e superiori co-imputati per il reato di falso ideologico. Nello specifico nei confronti di Luciano Solingo e Francesco Cavallo, entrambi tenente colonnello e loro superiori in grado, ed entrambi accusati di aver fatto pressione affinché si modificassero alcuni atti.
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In aula, uno dei legali di Colombo Labriola e Di Sano ha affermato che “L’ordine fu dato da chi, insistendo sulla modifica, sapeva qualcosa di più costringendo gli altri ad eseguirla. Loro hanno subito un danno di immagine, come è successo per gli agenti della polizia penitenziaria”. Secondo l’accusa, quindi, i due carabinieri avrebbero solo obbedito agli ordini ricevuti, subendo loro stessi un danno di immagine.
“Non sapevamo del pestaggio. Dopo i Cucchi, le vittime siamo noi. C’è stata una strana insistenza nel chiederci di eseguire quelle modifiche che all’epoca non capivamo. Oggi sappiamo tutto e per questo abbiamo deciso di costituirci parte civile. Non siamo nella stessa linea gerarchica, l’abbiamo subita, erano ordini”. Queste le parole di Colombo Labriola e Di Sano, riportate in aula dal loro avvocato Giorgia Carta.
I carabinieri accusati a vario titolo, a seconda delle posizioni, di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia, e ancora per aver insabbiato il pestaggio ai danni di Cucchi sono otto. Cucchi era stato arrestato il 15 ottobre 2009 per detenzione di droga, dopo sette giorni di detenzione era morto all’ospedale Sandro Pertini di Roma.