Ennesimo colpo di scena nel nuovo processo sul caso del giornalista Mino Pecorelli ucciso nel 1979
Si complica la nuova inchiesta della procura di Roma sull’omicidio di Mino Pecorelli, il giornalista ucciso nella capitale il 20 marzo del 1979. L’indagine era stata riaperta lo scorso anno, dopo l’istanza presentata dalla sorella del giornalista ucciso, Rosita , che chiedeva di svolgere accertamenti balistici sulle armi che vennero sequestrate a Monza nel 1995 a un uomo legato in passato ad Avanguardia Nazionale tra cui una Beretta 765 con 4 silenziatori artigianali, per confrontarle con i quattro proiettili con cui venne ucciso il giornalista in via Orazio, nel quartiere Prati e che poteva trovarsi nell’ufficio dei corpi di reato del tribunale di Monza.
Ma, a quanto si apprende, proprio la Beretta 765 è stata distrutta nel 2013 come riportato in un verbale recuperato a Milano. Ora i pm di piazzale Clodio attendono di sapere se di quell’arma siano state conservate delle foto. Un elemento che si aggiunge al mancato ritrovamento, al momento, dei quattro proiettili che sarebbero stati depositati nell’ufficio dei corpi di reato del Tribunale di Perugia.
“Quei proiettili ci sono e salteranno fuori – ha detto l’avvocato Biscotti – La consulenza tecnica in ogni caso si farà perché se è vero che l’arma è stata distrutta è anche vero che sono state effettuate prove da sparo. Esiste un’ampia documentazione. Anche i proiettili furono fotografati e quindi è possibile effettuare una comparazione con le foto dell’arma”.
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Tra gli imputati illustri, nei processi svoltisi negli anni immediatamente successivi all’uccisione di Mino Pecorelli, troviamo sicuramente Giulio Andreotti, bersaglio abituale del giornalista. Il nome del leader Dc, fu tirato fuori dal pentito Tommaso Buscetta, che attribuisce l’omicidio Pecorelli alla mafia siciliana, precisamente a Bontate e Badalamenti, su richiesta dei cugini Salvo contattati da Claudio Vitalone (braccio destro di Andreotti, già ministro del Commercio per l’Estero e all’epoca sostituto procuratore) per interesse del leader Dc. La rivelazione, dice Buscetta, gli fu fatta dallo stesso Bontate. Il movente? Pecorelli minacciava di far uscire altre verità sul sequestro Moro, insieme ad altri segreti sullo scandalo Italcasse che riguardavano direttamente Andreotti
Per la procura di Perugia ce n’era abbastanza per chiedere il rinvio a giudizio con l’accusa di concorso nell’omicidio per Andreotti, Vitalone, i boss della mafia Pippo Calò e Gaetano Badalamenti, il killer Michelangelo La Barbera e l’ex terrorista dei Nar, poi nella banda della Magliana, Massimo Carminati. A condannare quest’ultimo anche i rari proiettili Gevelot che furono ritrovati nel corpo di Pecorelli (due di marca Gevelot e due di marca Fiocchi) e provenivano dal magazzino della banda della Magliana nei sotterranei del ministero della Sanità (insieme ai candelotti fumogeni che furono ritrovati a fianco del corpo del colonnello Varisco, ucciso ufficialmente dalle Br, ma questa è un’altra storia). L’altalena del giudizio-assoluzione-condanna- assoluzione si concluse con la sentenza della corte di Cassazione del 2003 che annullò la condanna inflitta in appello scagionando tutti.