Rischio di multa per chi offende sui social: diffamazione aggravata per mezzo di pubblicità. Multe da 516 euro e reclusione fino a tre anni, lo dice la legge
Chi offende sui social rischia adesso di incorrere in reato di diffamazione, con ripercussioni più ingenti di quelle causate dalle offese a parole e pari a diffamazione per mezzo pubblicitario.
È così, oramai la valenza pubblica di facebook e delle proprie bacheche, rischia di far incorrere i diffamatori in multe o reclusione fino a tre anni. Secondo l’articolo 595, se l’offesa è recata a mezzo stampa, o con altro mezzo pubblicitario con atto pubblico, la pena è la reclusione da sei mesi a tre anni oppure una multa non inferiore a 516 euro.
A tale proposito, si pensi, ad esempio, a quanto affermato nella sentenza numero 50/2017, ove si legge che “la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 terzo comma cod. pen., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone”
Inoltre, “l’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità, nel reato di diffamazione, trova, infatti, la sua ratio nell’idoneità del mezzo utilizzato di coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando – e aggravando – in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa, come si verifica ordinariamente attraverso le bacheche dei social network, destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone”.
Nella sentenza, ciò avverrebbe “secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica, che è quella di incentivare la frequentazione della bacheca da parte degli utenti, allargandone il numero a uno spettro di persone sempre più esteso, attratte dal relativo effetto socializzante”.
Interessante è, poi, la sentenza numero 40083/2018, nella quale la Corte, dopo aver ribadito che “la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma terzo, cod. pen., poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone“.
La Corte ha precisato inoltre che, a fronte di ciò, “l’eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive” non consente comunque di “mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria”.
Infine, possiamo citare la pronuncia numero 34145/2019, ove si legge che “È vero che la recente giurisprudenza di legittimità ha mostrato alcune “aperture” verso un linguaggio più diretto e “disinvolto”, ma è altrettanto vero che talune espressioni presentano ex se carattere insultante”. Per i giudici “Sono obiettivamente ingiuriose quelle espressioni con le quali si “disumanizza” la vittima, assimilandola a cose o animali“.
Chi è vittima di una diffamazione tramite social network o ritiene di esserlo, quindi, può denunciare il comportamento scorretto presso le autorità.
In particolare, occorre recarsi presso la procura, i carabinieri, la polizia o in un altro ufficio delle forze dell’ordine e sporgere querela, esponendo il fatto avvenuto, dotandosi di documentazione idonea a provare l’offesa, per evitare che le evidenza siano poi cancellate e risulti poi difficile provarne l’esistenza.
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