In sperimentazione una cura innovativa sull’Alzheimer: l’anticorpo A13 sarebbe efficace sulla neurogenesi. Per ora sperimentato sugli animali, si procede con gli studi della molecola
Un anticorpo, chiamato A13, sarebbe capace di “ringiovanire” il cervello e quindi di bloccare l’Alzheimer nel suo esordio. La molecola, individuata dai ricercatori della Fondazione European Brain Research Institute (Ebri ) “Rita Levi-Montalcini”, potrebbe dare un nuovo importante input per le cure.
La ricerca effettuata presso la Fondazione Ebri, in collaborazione con il Cnr, la Scuola Normale Superiore e il Dipartimento di Biologia dell’Università di Roma Tre, diretta da Antonino Cattaneo, Giovanni Meli e Raffaella Scardigli, è stata testata fino ad oggi con successo solo sui topi.
“Per i test sull’uomo – riferiscono i ricercatori Meli e Scardigli che hanno pubblicato i risultati della ricerca sulla rivista Cell Death and Differentiation – ci vorrà ancora qualche anno e bisognerà prima valutare gli esiti delle fasi pre-cliniche di sperimentazione, ma la scoperta è molto importante e apre a nuove possibilità di diagnosi e cura di questa malattia”.
In particolare, i ricercatori hanno indagato sul fatto che la nascita di nuovi neuroni nel cervello adulto si riduca in fase iniziale dell’Alzheimer. Ciò sarebbe dovuto dall’accumulo nelle cellule staminali del cervello di sostanze nocive chiamate A-beta oligomeri.
La scoperta del team è stata quella di neutralizzare gli A-beta oligomeri nel cervello di topi affetti da Alzheimer, immettendo l’anticorpo A13 all’interno delle cellule staminali del cervello. Ciò ha consentito la nascita di nuovi neuroni, in un processo di ringiovanimento del cervello.
“I problema di oggi – chiariscono i ricercatori – è che per l’Alzheimer non ci sono terapie risolutive e si interviene troppo tardi, quando cioè i neuroni sono già devastati: abbiamo invece dimostrato, su modelli animali, che introducendo questi anticorpi innovativi nelle cellule staminali del cervello, si elimina la proteina tossica che causa la malattia.
Così le staminali riprendono a produrre i neuroni in modo normale e la conseguenza è che l’Alzheimer si blocca quando è ancora ad uno stadio precoce”. Il duplice successo della ricerca: “Da un lato – spiegano ancora i ricercatori – dimostriamo che la diminuzione di neurogenesi anticipa i segni patologici tipici dell’Alzheimer, e potrebbe quindi contribuire a individuare tempestivamente l’insorgenza della malattia in una fase molto precoce; dall’altro, abbiamo anche osservato nel cervello del topo l’efficacia dell’anticorpo nel neutralizzare gli A-beta oligomeri, alla base dello sviluppo della malattia”.
Di conseguenza, “riuscire a monitorare la neurogenesi nella popolazione adulta offrirà in futuro un potenziale strumento diagnostico per segnalare l’insorgenza dell’Alzheimer in uno stadio ancora molto precoce, cioè quando la malattia è ancora senza sintomi“.
Per quanto concerne le cure, invece, sottolineano i ricercatori, “il futuro utilizzo dell’anticorpo A13 permetterà di neutralizzare gli A-beta oligomeri dentro i neuroni, bloccando così la malattia ai suoi inizi”. La cautela è però d’obbligo: “Il prossimo passo – concludono – sarà innanzitutto verificare se il blocco della malattia nei modelli animali perdurerà per almeno un anno, per poter parlare di guarigione”.
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