Lecce – Una donna avrà un figlio naturale da padre biologico morto all’inizio del 2019, ma concepito 4 anni prima. Dopo lotte burocratiche è riuscita ad ottenere la sentenza dal Tribunale di Lecce. Terzo caso in Italia.
Il bimbo o bimba, nascerà nel 2020 e sarà figlio naturale e biologico di un padre morto nel 2019, ma che lo aveva concepito 4 anni prima. La storia singolare, viene riportata dal nuovo Quotidiano di Puglia. La donna della provincia di Lecce, dopo una lotta lunga ed estenuante con la burocrazia Italiana, è riuscita ad ottenere una sentenza a Suo favore dal Tribunale di Lecce. L’ostacolo ed il nodo da sciogliere stava nel fatto che l’embrione era fecondato con il seme di un donatore morto. La donna è riuscita a far valere le sue ragioni e con l’aiuto dell’avvocatessa Tania Rizzo, in pochi mesi è riuscita nel suo desiderio che aveva con il marito defunto. Questo è il terzo caso di una gravidanza postuma, terzo caso in Italia, primo in Puglia.
Nel 2014 la coppia salentina di quarantenni aveva il desiderio di avere un secondo figlio. La coppia, però, non riusciva nell’intento e la gravidanza non arrivava. Pertanto i due avevano iniziato un impegnativo ciclo di cure decidendo, nel 2015, di affidarsi ad un centro per la procreazione medicalmente assistita (Pma) dove furono crioconservati due embrioni fecondati con il liquido seminale del marito. Tutti gli esami e le condizioni consigliavano l’impianto quando l’irresistibile bisogno di maternità e paternità è stato stroncato da un cancro che ha cambiato vita e programmi della piccola famiglia di professionisti.
La battaglia contro il tumore dell’uomo è stata dura ma nonostante tutto i due, tra un ciclo chemioterapico e l’altro, non hanno mai abbandonato il loro sogno continuando ad interloquire con la clinica dove erano conservati gli embrioni programmando quindi una prossima gravidanza indotta. Agli inizi del 2019 la malattia ha sopraffatto tutti. Dopo la morte del marito a donna ha cominciato a battersi per mantenere fede alla promessa fatta al marito così si è rivolta alla clinica dove ha dovuto scontrarsi contro il muro della burocrazia: pur avendo firmato tutti i consensi possibili prima di morire, il laboratorio non poteva procedere all’impianto senza il permesso di un giudice. Per la donna è così iniziata la nuova battaglia e si è rivolta all’avvocatessa Rizzo.
Il nodo da sciogliere, per il legale della donna, era rappresentato dal superamento dell’articolo 5 della legge sulla procreazione assistita, considerando che nei requisiti, entrambi i coniugi devono essere viventi.
L’art. 5 “possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi“.
L’avvocatessa è riuscita a spiegare ai Giudici, che la volontà della donna di desiderare un figlio, se fosse stata negata, avrebbe leso il diritto di ogni donna alla maternità, e che l’embrione già fecondato non può essere soppresso. Oltretutto il legale ha illustrato al Magistrato che la volontà del defunto, fosse di desiderare un secondo figlio, anche con la tecnica di procreazione. Le argomentazioni evidentemente hanno convinto il giudice, Maria Gabriella Perrone, ad accogliere il ricorso presentato dalla donna riconoscendo, rafforzandoli, gli stessi principi etici su cui si è battuta la donna.
Il dispositivo è che i due coniugi erano entrambi in vita al momento della procreazione, la sentenza garantisce «il diritto dell’embrione alla vita» e quindi il divieto della sua soppressione, «l’impossibilità del partner di revocare il proprio consenso», infine «il diritto della donna ad ottenere, sempre, il trasferimento degli embrioni crioconservati». In Italia altri due casi simili si sono registrati a Palermo nel 1999 e a Bologna nel 2010.
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